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XII PRELUDI - omaggio a Paul Celan
di Mirco De Stefani Numero di catalogo discografico ITBP21200257, Rivoalto, Venezia 2012 Descrizione: Queste musiche sono state composte tra il gennaio e il settembre del 2000: assieme ad altre per strumento solista (organo, pianoforte, violino, flauto) sono nate dalla necessità di concentrare nelle mani di un singolo interprete il prodotto di una “comunanza di solitudini”. Si tratta di una particolare esperienza estetica che coinvolge, oltre il compositore e l’interprete, la figura del poeta e del pensatore dal quale giungono le sollecitazioni profonde. Il triangolo di tale processo creativo e comunicativo comprende il poeta, il compositore e l’esecutore, ognuno nella sua isolata singolarità, spinta all’estremo grado di tensione. Una “comunione spirituale” che si estende infine all’ascoltatore, rendendolo partecipe dell’evento musicale in tutta la sua complessità. La serie dei dodici Preludi per Violoncello dedicati a Paul Celan è dunque un incontro con il poeta, un omaggio alla sua figura, una forma particolare di lettura e interpretazione della sua poesia: processo mediato dalle note di uno strumento cui dà anima un interprete, che è ad un tempo voce del poeta, voce del compositore, voce del proprio essere. Nell’insieme di reciproche interazioni e rispecchiamenti di parole, suoni, concetti, emozioni, sta il senso dei Preludi. Da dove nascono, allora, queste composizioni? Perché Celan? Perché il violoncello? Non esiste una risposta: come in tutte le opere musicali, forma e contenuto non originano separatamente, non sono l’esecuzione finalizzata di un programma, né rispondono a stimoli occasionali o ad operazioni mediatiche, oggi tanto pervasive quanto superficiali. Si crea, ad un certo momento, una necessità di presenze, per cui ogni scelta coinvolge la scelta successiva ed ogni elemento sembra nascere per una forza interiore e procedere come un vortice che tutto trascina e ricombina in nuove forme. Le ultime scoperte delle neuroscienze ci insegnano che “pensiamo di scegliere, ma in realtà non scegliamo nulla” (P. Haggard), poiché la consapevolezza di aver fatto una scelta avviene sempre dopo la catena di eventi biochimici che, a nostra insaputa, hanno già determinato l’esito della decisione. Non so dire se nella mia mente sia comparso prima il suono del violoncello o la poesia di Celan, se i versi abbiano richiesto il particolare timbro di questo strumento o se il violoncello cercasse di materializzarsi ed emergere attraverso la voce del poeta di Czernowitz. Forse si è creata una condizione per cui sono venute provvisoriamente a coincidere, come orbite di pianeti lontani attorno ad un unico sole, le traiettorie della musica, della poesia, della vita del compositore, generando una risonanza di suoni e concetti che vedeva espressa da quello strumento, e solo da esso, la sua essenza. Perché nasca una musica è necessario un urto, una folgorazione, una forma di sconvolgimento: la poesia di Paul Celan ha rappresentato per me, alla sua prima lettura, un eccezionale impatto emotivo dato dalla percezione di una “verticalità” che si imponeva come un precipitare da stati di massima levità e dolcezza ad abissi di asperità e grumi di concentrazione dei significati spinti fino all’annichilimento. Il violoncello, con la sua capacità di iperestendersi con leggerezza attraverso ampi spazi sonori, dall’acuto cantabile al basso più cupo, si prestava a ben raffigurare e incarnare un simile dettato poetico. I campi di significazione della poesia potevano trovare un adeguato corrispettivo in una tessitura distesa e mobile, mentre il timbro e la polifonia del violoncello davano voce a parole aggrumate, ridisegnate, ordinate per “fughe” e “strette”, disposte lungo “scale” e drammi d’azione di figurazioni coatte in formule iterate fino al dissolvimento o all’implosione o allo sprofondamento nel gorgo. La poesia dà vita alla sua rappresentazione musicale, mentre la musica ritrova negli aloni dei significati verbali dei testi la descrizione, in termini di parole e di concetti, delle proprie forme e fioriture. E così, le seducenti immagini poetiche, tappe di un calvario dalle infinite e inaudite stazioni, diventano puro suono, stillati filamenti di luce trasfigurati nelle trame della partitura e nelle sue architetture. Elementi che raggiungono, alla fine, una completa autonomia semantica e strutturale: volteggiare di destrieri, brusio di voci senza tempo, turbinio di particelle, vicinanze di corpi, mani che scavano nella terra, ondeggiare di canne sulla sabbia, il dramma della morte sacrificale, gli abbandoni e gli attacchi nei confronti del suono-parola, occhi compressi come uva nel torchio, gradini e fili di pensieri, anime vaganti sulla distesa del mare, gelidi venti d’inverno… L’eco di tutto ciò, compiute le necessarie metamorfosi e ricomposizioni, si offre qui attraverso nuova veste e nuova voce di musica per violoncello solo, oltre la dimora delle parole, oltre quel “sistema di forme o terremoto di forme” in cui Celan si esprime, “consapevole di portarsi verso la mutezza” (A. Zanzotto). Nell’eterno smarrimento, dopo ogni silenzio, sopra ogni squallore, ancora / vi sono melodie da cantare / al di là degli uomini. Mirco De Stefani |
Dati editore
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