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CD
ENANTIOSEMIE: Contemporary Masterworks for Clarinet and Guitar
esecutori Leonardo De Marchi, Sauro Berti, Matteo Evangelisti
musiche di Andor Kovach, Antonio Bellandi, Colette Mourey, Hugo Pfister, Leonardo De Marchi, Maurice Verheul, Nadir Vassena, Patrizio Esposito, Sauro Berti, Scott Lygate
0793611610057, Da Vinci Classics 2018

Prezzo: 12.90€
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Descrizione: Enantiosemie – Booklet (L. De Marchi) enantiosemie 1 La letteratura del duo clarinetto-chitarra, emersa nell’ambito salottiero del XIX secolo, è stata protagonista negli ultimi cinquant’anni di una consistente crescita; essa ha portato questa insolita combinazione strumentale a dar voce a una grande quantità di linguaggi musicali, spesso irriducibili gli uni agli altri. Intitolare questo album Enantiosemie – ovvero quelle parole che, a parità di scrittura, hanno significati opposti – significa non solo voler mostrare quanto clarinetto e chitarra abbiano saputo (e sappiano tuttora) farsi interpreti di innumerevoli stili e linee di ricerca a volte contrapposti tra loro, ma anche quanto l’esecutore possa trarre dallo stesso spartito interpretazioni diametralmente opposte. D’altra parte, altre forme d’arte ci insegnano che da una stessa parola possono scaturire emozioni a volte contrarie tra loro. Non si poteva aprire un CD all’insegna delle contraddizioni – almeno apparenti – se non con Primo discorso eretico sulla leggerezza dei chiodi (2000) di Nadir Vassena (1970), brano scritto per Mats Scheidegger e Harry Sparnaay (1944 – 2017) che fonda la propria drammaturgia su improvvise cesure e brusche giustapposizioni tra materiali eterogenei. Il titolo è uno spiazzante ossimoro che, riferendosi in maniera provocatoria all’episodio della crocifissione di Gesù Cristo, ci porta sin da prima dell’ascolto a immaginare una pasta sonora scabra e irregolare, perennemente in bilico tra i due poli apparentemente inconciliabili della levità eterea e della pungente durezza. Clarinetto basso e chitarra sono protagonisti di una scrittura che, grazie ad un impressionante arsenale di risorse timbriche e tecniche strumentali, indaga la dimensione materica del suono fin nelle sue componenti più liminali. Una moltitudine di modi d’attacco diversi, la costante ricerca di un’intonazione non equabile e un uso cospicuo di iposuoni e multifonici, animano una narrazione sempre viva e tesa. Per contrasto, i cinque movimenti di Sand sculptures (2011) di Scott Lygate (1989) creano un affresco sonoro all’insegna di un clima ironico e canzonatorio. Ispirandosi ad alcune sculture di sabbia ammirate in Portogallo, ognuna delle quali dà il titolo ad un movimento della suite, Lygate dimostra una conoscenza smaliziata delle tecniche estese di entrambi gli strumenti. Il risultato è particolarmente evocativo, al punto che non è difficile per chi ascolta riconoscere il crossover suonato dalla ‘Pro-Sand Art’ band, la surreale calma della razza in Tired flatfish admires playful dolphins, la grottesca posa declamatoria del re in Medieval king makes proposals on his tactical tactical map, i barriti dell’elefante terrorizzato di Scorpions provoke a top hatted elephant e il cacofonico e sconclusionato scratching di DJ Octopus. Decisamente più cupa e oscura è l’atmosfera che anima Il respiro nel silenzio (2017) del compositore romano Patrizio Esposito (1960). Sin dai primi istanti è evidente che la partitura dipinge una irrequieta notte di tenebre: davanti ai nostri occhi si materializzano di volta in volta sciacalli che lacerano il buio con i loro strazianti ululati, strumenti a fiato che intonano inquietanti cantilene ed altre presenze che scorgiamo come sagome dai contorni incerti, come si fossero materializzate dalle nebbie. Esposito riesce alla perfezione nel compito di unire la scrittura per fasce sonore del clarinetto basso a quella puntillistica della chitarra, in un lavoro che fa della sottile e minuziosa ricerca sulle nuances timbriche e dinamiche il proprio punto di forza. Il compositore olandese Maurice Verheul (1964) ha dedicato una grande quantità di lavori, sia solistici che cameristici, al clarinetto basso di Harry Sparnaay. In Obtuser air (2016), suo primo lavoro in duo con chitarra, gli strumenti dialogano in maniera assolutamente paritetica, in una ininterrotta migrazione di temi e spunti motivici da uno strumento all’altro. Il materiale del brano è derivato da una cellula ritmica, il tresillo, che caratterizza gran parte della musica di area latino-americana e che viene sottoposto da Verheul a un continuo processo di deformazione: il risultato è all’insegna di una straniante contemplazione, cui non è alieno talvolta un certo gusto per il grottesco. L’inclinazione ironica del compositore emerge anche dal titolo Obtuser air, che altro non è se non l’anagramma di Sauro Berti, il dedicatario. Dopo aver dialogato con la chitarra tradizionale, il clarinetto basso si confronta – per la prima volta nella sua storia – con la chitarra a dieci corde; quest’ultima, grazie ai bassi supplementari, ha un’identità sonora caratterizzata da una grande quantità di risonanze. Terreno di questa inedita unione tra strumenti è La favola di Apollo e Marsia (2017) di Antonio Bellandi (1974), brano il cui svolgimento drammaturgico ricalca fedelmente il mito di Apollo e Marsia così come viene narrato dallo scrittore latino Igino. Nel racconto di Igino, la dea Minerva costruisce un flauto da un osso di cervo, ma lo getta via, poiché viene irrisa da Venere e Giunone per la smorfia che fa nel suonarlo. Lo strumento viene raccolto dal sileno Marsia, che si esercita a suonarlo traendone suoni sempre più dolci; la sua tracotanza lo porta a sfidare Apollo a gareggiare con lui, suonando la cetra. Marsia sembra avere la meglio, fino a quando Apollo non capovolge il suo strumento e suona la stessa musica – cosa che Marsia, con il flauto, non riesce a fare. Il dio lega lo sconfitto Marsia a un albero e lo consegna a uno Scita che fa scempio del suo cadavere; consegna poi ciò che resta del corpo del satiro al suo discepolo Olimpo, per dargli sepoltura. L’uso delle tecniche estese, e in particolare delle inedite possibilità sonore offerte dalla chitarra a dieci corde, permette al compositore di dare corpo alle più salienti immagini del racconto: vengono in particolare sfruttati massimo i roboanti cluster nel registro grave e gli aloni di risonanze, indotte tramite armonici e percussioni sul corpo dello strumento. La Ballade di Hugo Pfister (1914-1969), unico brano di questo cd ad appartenere alla ristretta letteratura storica per clarinetto e chitarra, si contraddistingue per la temperie complessivamente severa e accigliata. Composta probabilmente nel 1959, al termine dell’apprendistato del compositore svizzero con Nadia Boulanger, la Ballade è un brano formalmente ambizioso, caratterizzato da una scrittura asciutta e poco incline a ricercare sonorità diverse da quelle ordinarie. La macrostruttura del brano risulta articolata con chiarezza in episodi di carattere contrastante, il cui materiale è interamente derivato dall’inciso iniziale della chitarra e nei quali i due strumenti portano avanti – con pari dignità – un dialogo serrato e di rilevante impegno virtuosistico. A stemperare il clima a tinte fosche della Ballade di Pfister interviene l’aforistico Invitation, Tribute to Harry Sparnaay, della francese Colette Mourey (che ha in seguito dedicato al duo Berti-De Marchi un brano di più ampio respiro intitolato “Blues Sonata”). Si tratta di un brano che, analogamente a quello che lo precede, è basato sull’alternanza di sezioni di carattere contrastante. Il carattere è stavolta arguto, pungente e rapsodico nel suo repentino passare da una sezione alla successiva. Il clarinetto basso viene spesso spinto verso il registro acuto della sua estensione, dando così origine ad una scrittura caratterizzata da agile e diafano pérlage, mentre la scrittura della chitarra si attesta su un’idiomaticità memore della lezione dei Douze études di Heitor Villa-Lobos. Chiude il cd il Trio n. 1 – Musique d’automne (1942) per flauto, clarinetto in La e chitarra del compositore rumeno – poi naturalizzato svizzero – Andor Kovach (1915-2005). La chitarra, che nei precedenti brani assume una funzione di primo piano, lascia parzialmente la scena ai due strumenti a fiato, limitandosi a fornire il substrato armonico e ritmico su cui flauto e clarinetto dipanano le rispettive linee. Lo stile garbato ed elegante del Trio di Kovach rivela i propri debiti con il passato nell’adozione di modelli formali canonizzati dalla tradizione: il primo movimento è in forma-sonata, il secondo è una dolente cantilena basata su un’ostinato della chitarra e il terzo è un rondò particolarmente vivace e spigliato. Non sarà sfuggito agli ascoltatori che compaiono due brani, scritti entrambi nell’agosto 2018, in cui gli esecutori del cd indossano anche le vesti di compositori. Pagina d’album di Leonardo De Marchi è una sorta di intermezzo in forma ternaria, le cui atmosfere liriche – tra le quali fanno inaspettatamente capolino il Gershwin di Rhapsody in blue e una citazione, che non sveleremo, da un altro brano di questo cd – fungono da fugace intermezzo tra gli impegnativi lavori di Bellandi e Pfister. Enantiosemie di Sauro Berti sembra invece suggerirci, con l’utilizzo contemporaneo di quattro metronomi diversi su cui gli interpreti hanno il compito di suonare, che la percezione lineare, ordinata e rigorosa del tempo può arrivare paradossalmente a sfociare nel suo contrario; gli interpreti annullano a vicenda l’ordine ferreo scandito dai battiti simultanei. Lo spartito di entrambi gli esecutori è il medesimo ed è volutamente privo di indicazioni espressive, ma la differente indicazione del tempo suggerisce differenti interpretazioni. In fin dei conti, proprio questo continuo trapasso di un concetto nel suo opposto rappresenta un esempio mirabile di enantiosemia.
Durata: 80'31"
Dati editore
INDIRIZZO: Osakashi, Miyakojimaku, Miyakojimaminamidori 2-1-3-1307
TELEFONO: +81 (0)80 8325 7780



Titoli ed esecutori

Berti Sauro, De Marchi Leonardo
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