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Mirco De Stefani - Childhood Songs for Soprano and Piano - Poems by Emily R. Grosholz Musiche di Mirco De Stefani interpreti Cristina Nadal, Igor Cognolato Numero di catalogo discografico CRR3001 ISRC: BP921200016, Rivoalto, Venezia 2016 Descrizione: Ma dov’era / esattamente la musica…? Quando nel gennaio 2015 mi giunse per posta l’ultimo libro di Emily Grosholz, Childhood, illustrato dai delicati e misteriosi disegni di Lucy Vines – volti e figure che emergono dal buio dell’inconscio –, lo sguardo si posò sulla dedica manoscritta dell’autrice: “For Mirco De Stefani who turns poems into songs”. Mi sembrò quasi una sfida, e del tutto inaspettata. Poco a poco, la lettura delle poesie faceva tornare indietro l’orologio del tempo, mentre le scene descritte mi riportavano ai lontani ricordi dell’infanzia, alle prime scoperte del mondo che la memoria aveva potuto salvare. Era come se una chiave magica fosse apparsa tra le mie mani: la chiave che apriva le porte dell’oblio e illuminava attimi e momenti ancora presenti nel ricordo, per quanto offuscati dalle nebbie della lontananza. La propria infanzia e quella dei figli s’intrecciano inevitabilmente nei ricordi di ognuno, come se il tempo, nel suo movimento a spirale, cominciasse a tornare su se stesso, presentandosi sempre diverso e sempre identico. Parole e suoni, silenzi di nevi, voci di uomini e di cose, di piogge e di mille uccelli, giochi e canzoni di bimbi e baci delle madri percorrono le pagine di questo libro fino a farsi musica, a chiedere accesso alla dimensione della musica. Una poesia su tutte ha spalancato infatti l’ultima porta, quella che guarda al mondo parallelo della composizione, all’intonazione musicale delle parole, alla loro trasformazione in canto. In First Piano Lesson è iniziato il mio viaggio musicale nella poesia di Emily Grosholz, perché in essa ho ravvisato quella necessità a comporre che improvvisamente s’impone e non lascia scampo. Tuttavia, come sempre accade, c’era bisogno di una terza forza catalizzatrice che stringesse assieme musica e poesia, parole e suoni. E, come sempre avviene, è il caso a giocare la carta della necessità, a far sì che dal vago sentore di una comune armonia si arrivi alla reale messa in opera di una composizione. Da molti anni ho l’abitudine di suonare al pianoforte, settimana dopo settimana, il primo volume del Clavicembalo ben temperato di Bach. L’esecuzione dei 24 Preludi e Fughe comincia a gennaio e finisce a dicembre di ogni anno, per poi riprendere, instancabilmente. È come la lettura di un breviario musicale: fonte occulta, subcosciente, quasi neutra, di idee musicali allo stato puro, e buon esercizio per le dita, la mente e il tono dell’umore. Ebbene, quando giunse il libro di Emily Grosholz, avevo sotto le mani la Fuga II in Do minore (BWW 847). La coincidenza di questo pezzo con la lettura della poesia a p. 22 di Childhood fu provvidenziale e permise di rompere l’ultimo diaframma che separava musica e poesia. First Piano Lesson è il settimo degli otto Songs, ma è stato il primo ad essere composto. Le immagini dei bambini stupiti attorno al pianoforte a coda che genera dai propri tasti bianchi e neri una canzone, il golden fish di ogni infanzia, sono di per se stesse musica. Ecco allora che il ponte che le manine dei bambini sulla tastiera del pianoforte costruiscono dal Do al Sol, e ancora dal Sol al Do, unisce le due sponde della musica e della poesia, come magico arcobaleno nello stagno del giardino di Giverny, dove le stupefacenti ninfee di Monet appaiono librarsi dall’acqua. I confini della corporeità tra bambini e adulti, tra figli e genitori, sembrano scomparire nelle poesie di Childhood, così come i confini tra le stanze della casa e l’ambiente naturale che la circonda. I giardini del mondo sono i giardini delle parole, la lingua delle madri è una culla dove cresce il bambino-stelo che ride tra il silenzio dei fiori (Listening). Su di essi, fin dall’autunno, cade la neve al limitare dl bosco (Snowdrop), e il silenzio della sua coltre bianca avvolge in una sospensione del tempo ogni moto della natura. Ma ecco che, giunto febbraio, il piccolo bucaneve piegato emerge tenero e avvolto su se stesso come un bimbo. Il mesto autunno (Autumn Sonata) saluta il volo delle anatre che migrano al sud: nessuno conosce il loro canto, così come il bambino ignora il significato delle prime parole, delle voci di coloro che lo circondano, ma le accoglie come pura melodia. Acqua, aria e terra sono gli elementi naturali che avvolgono il bambino e si fanno lentamente scoprire come parte del suo mondo (The Discovery of Rain): egli ne cerca la causa, come fa per le note misteriose del pianoforte, me questa rimane sospesa tra verità e fantasia. E ancora, in Finitude, allo sfumare della notte e del sogno, quando le luci dell’alba riportano la coscienza di esistere alla scoperta del proprio corpo, il bambino percorre incerto alcuni passi verso la finestra, affascinato da visioni fantastiche. Per poi tornare tra le braccia materne e chiedere ancora nella sua lingua incomprensibile: riceverà altrettanto incomprensibili risposte, come baci nell’ombra. E il mistero della presenza evocata dal semplice nominare (The Shape of Desire) si fa tutt’uno col desiderio di presenza: nominare una figura umana attraverso il suo nome significa convocarla presso di sé, farla volare tra le nuvole della memoria. Il desiderio si materializza nella mente del bambino, ma è uno sbaglio, gli dice la mamma: è solo una fragile forma, come quella dell’amore. Solo il potere evocativo dell’amore (Au Revoir), in un lontano futuro, richiamerà in vita il ricordo della figlia bambina quando intonava nella stanza della vecchia casa, sola, una delle mille canzoni del suo iPod. Il tempo sarà passato, e il canto della bambina, come quello dei tanti tordi, storni, fringuelli, colombe e beccofrusoni, sarà volato via per sempre, per il richiamo di un altro amore, in nuovi innumerevoli / Attimi e infinitesimali spazi blu. Poesie di una realtà perennemente di confine, dalle infinite sfumature dunque, dove mondo degli adulti e mondo dei piccoli si rispecchiano attraverso una scena dagli infiniti giochi di colori e suoni, popolata da voci di bambini, di uomini e di animali, circondati da erbe, fiori, nevi in continua metamorfosi. Anche la musica che a queste parole si rapporta, stabilisce con esse un rapporto di reciproco rispecchiamento. Il canto, l’intonazione della voce sulle parole poetiche, nasce in ciascuna delle otto composizioni da un dialogo tutto musicale tra il soprano e il pianoforte. Si crea così un triangolo ermeneutico costituito dal testo poetico, dalla melodia del soprano e dal pianoforte. La compresenza di queste tre variabili rende il significato dei Childhood Songs del tutto particolare: ne fa, anche al di là di una precisa consapevolezza, un’esperienza estetica complessa e non risolvibile nelle tradizionali definizioni di “Canzone”. La questione si pone in questi termini: 1) rapporto tra canto e testo poetico 2) rapporto tra canto e pianoforte 3) rapporto tra musica e parola La stretta corrispondenza tra note e vocali genera una linea melodica che funge da “serie” generatrice delle “orizzontalità” e delle “verticalità” che i contrappunti e gli accordi del pianoforte elaborano nel dialogo con il canto del soprano. Un rapporto di simultanea dipendenza e indipendenza percorre le tre variabili in gioco: poesia, canto e pianoforte sono a un tempo intrecciati e autonomi. La poesia, è evidente, precede la musica ed è svincolata da essa. Anche il pianoforte e il soprano, pur nell’insieme dei loro rapporti melodici, armonici e contrappuntistici sono due entità musicalmente e fisicamente distinte. La parte del pianoforte è infatti, in tutti i Childhood Songs, una composizione che potrebbe esistere ed essere eseguita da sola, senza il canto cui si rapporta. Il canto del soprano, pur stretto tra i significati semantici della poesia e le note del pianoforte, potrebbe essere sostituito da un vocalizzo o da uno strumento come il flauto, l’oboe o il violino. Il canto potrebbe sussistere anche come “a solo”, senza il pianoforte. Alla fine, ciò che risulta è che, paradossalmente, il soprano non interpreta le poesie, il pianoforte non accompagna il soprano. Eppure, l’idea stessa di Canzone (Song), presuppone che parole, canto e strumento siano fusi in un’unica esperienza di percezione. Come uscire allora dall’aporia dipendenza/indipendenza? Ritorniamo al primo dei Songs ad essere stato composto, First Piano Lesson, e alla domanda fondamentale che in esso si pongono i bambini: But where / Exactly was the music..? Dov’è dunque la musica? Nella poesia? Nel canto? Nel pianoforte? Forse in tutti in modo diverso e complementare, senza possibilità di definire confini spazio-temporali o tracciare aree semantiche precise: poesia, musica e canto descrivono un alone, una nuvola di sensazioni che si spostano incessantemente dalle parole ai suoni, dalle armonie alle melodie, dai fonemi agli intervalli tra i suoni, dai versi alle frasi musicali. E come le mani dei bambini si confondono con quelle dei genitori e le parole degli uni diventano suoni e musiche per gli altri, così le poesie di Childhood trapassano nelle musiche; e quest’ultime, attraverso le parole, vengono alla luce e ritrovano la manifestazione più naturale e completa della propria fisicità. E tutto avviene nel sogno e nel mistero di un giardino di suoni e parole, mentre un ponte d’arcobaleno unisce passato e presente: liquidi abissi da dove musicali ninfee tendono a librarsi nell’aria. Mirco De Stefani Elenco brani I………………………………………………...Listening II………………………………………………..Snowdrop III……………………………………….Autumn Sonata IV………………………………..The Discovery of Rain V………………………………………………….Finitude VI…………………………………..The Shape of Desire VII…………………………………..First Piano Lesson VIII…………………………………………….Au Revoir Durata: 35'28'' |