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INTERVISTE
Intervista a Gianmarco Caselli ideatore del Lucca Underground Festival
Quest’anno si è svolto il Lucca Underground Festival di cui sei ideatore e direttore artistico. Perché da compositore ti sei messo nelle vesti di organizzatore di eventi? In realtà ho sempre fatto entrambe le cose. Lo stesso Lucca Underground Festival sarebbe alla sua quinta edizione, ma in precedenza si chiamava semplicemente “Underground.” Credo che in un momento storico così critico per la cultura in Italia, sia importante rimettere in moto certe dinamiche, far incontrare persone comuni, artisti, in modo tale da ricreare una comunità. C’è bisogno di riallacciare i fili della società, costituire una sorta di famiglia alternativa, una famiglia underground. Sono convinto che questo sentirsi famiglia sia stato uno dei motivi del successo del Festival. Perché proprio un festival Underground? E cosa vuol dire “underground” nel 2015? Ormai il termine Underground è forse molto più di quanto significava negli anni ’70. Negli anni ’70 c’erano molte più possibilità di far conoscere i propri lavori o imbattersi in esperienze alternative. Oggi no. Manca la visione politica, c’è molta rassegnazione. Inoltre sembra che esistano solo grandi eventi: paradossalmente, pur essendoci internet, le persone, i ragazzi delle scuole, oggi hanno di fronte sempre i soliti modelli culturali, anche se vengono presentati come alternativi. E magari non conoscono esperienze del vicino di casa che fa cose artistiche notevoli ma non ha spazi e possibilità per poterle far conoscere al pubblico, o non ne conoscono altre incredibili e famosissime come quella del Living Theatre. Fra l’altro siamo stati molto orgogliosi di chiudere il festival proprio con Gary Brackett che ha fatto per noi l’unica commemorazione ufficiale europea di Judith Malina con la partecipazione del Living. E che nessuno avesse pensato a una commemorazione ufficiale la dice molto lunga. Grande assente del Festival, è proprio la musica… Sì, non è un caso e non è un problema. Un motivo è perché mi piacciono anche tutti gli altri linguaggi artistici e questo mi permette di allargare le mie conoscenze; in secondo luogo mi rattrista vedere che il più delle volte, quando mi imbatto in qualcosa che viene definito “underground”, questo riguarda quasi esclusivamente serate di musica. Sia chiaro che non disdegno affatto il punk, il rock, anzi, però questo modo di fare fa sì che il più delle volte chi va a un concerto a teatro, non vada al concerto punk e viceversa. Noi, un paio di volte, dopo il nostro evento del Lucca Underground Festival, siamo andati proprio a serate punk. Da docente di italiano e storia alle scuole superiori, come vedi la situazione per le nuove generazioni? C’è molto sconforto. Molti ragazzi temono di non avere un futuro, di non avere un posto nella società. Riallacciandoci a quanto dicevamo prima, vedono comparire sempre i soliti grandi nomi o, al limite, qualcuno che emerge in un talent show ed è famoso per una manciata di giorni. Tuttavia non si tratta di generazioni senza idee come molti vogliono far credere, e ci si dovrebbe ricordare che la loro condizione non se la sono cercata: è frutto delle scelte delle generazioni precedenti. Mi fa molto arrabbiare pensare a tutti quegli organizzatori di eventi che dicono di coinvolgere i giovani, quando questo coinvolgimento è il farli essere spettatori e mai attori. Come vivi la tua carriera di compositore in questo periodo e come credi che si possa vivere in generale da artisti adesso? In generale credo che per vivere serenamente una carriera artistica, oggi come in molti altri periodi storici, sia preferibile avere un altro lavoro che ti permetta di farlo. Altrimenti c’è il rischio enorme che una passione diventi uno stress. Ringrazio Gianmarco Caselli per l'intervista rilasciata. Anna Rita Pappalardo |