- CHI SIAMO
- ATTIVITA'
- BANCHE DATI
- NEWS & INFO
- CIDIM
- Soci
- Musica in rete
- Vincitori di concorsi
- Selezioni e audizioni
- Prime assolute
- Dal vivo in Italia
- Dal vivo nel mondo
- Convegni / Incontri
- Festival e stagioni concertistiche in Italia
- Radio e televisione
- Nuove incisioni, DVD
- Libri e partiture
- Periodici
- Corsi
- Concorsi
- Formazione di base e di nuovo pubblico
- Comunicati e
Rassegna stampa - In Italia e dal mondo
- Festival e stagioni concertistiche nel mondo
- COMMUNITY
INTERVISTE
Concorso Nazionale di Composizione "Francesco Agnello":
Ci presenti Omaggio al suono rosso e al quadrato giallo per quartetto d’archi, il brano vincitore del concorso sarà presentato in ottobre, in prima assoluta, al Festival Play.It dell’Orchestra della Toscana e, poi, eseguito in altre 13 fra le più prestigiose stagioni concertistiche italiane. Il quartetto Omaggio al suono rosso e al quadrato giallo è un’opera che va inquadrata sotto due diversi punti di vista, uno formale ed uno teorico-ideologico. Dal punto di vista formale questa fantasia si presenta come una sorta di metamorfosi costante dell’idea originaria. Comincia con un inciso melodico di sette note che diventano il materiale tematico che dà origine all’intero brano. Questo breve inciso si trasforma subito, fin della parte introduttiva, in sette diverse sezioni, ritmicamente e timbricamente ben caratterizzate, che alternano momenti energici ed incalzanti a parti di intenso lirismo, non prive di effetti atti a creare ambienti fantastici, che sfociano in un finale dall’andamento marcatamente accentato e cantabile allo stesso tempo. Il naturale fluire di una variazione nell’altra e la continua trasformazione del materiale tematico sono tenuti insieme sia dal movimento ritmico e ostinato del pizzicato prodotto dal violoncello, sia da piccoli frammenti musicali - talvolta di sole una o due battute - dal carattere ricorrente. In questo modo l’energia di una sezione viene convogliata direttamente e senza soluzione di continuità nella successiva, delineando momenti di luce ed ombra in cui colori e suoni cambiano e si mescolano costantemente. Dal punto di vista della sua concezione teorico-ideologica, invece, il quartetto va inserito all’interno della ricerca sul rapporto tra suono e colore che da anni occupa la mia attività di musicista compositore e di pittore. Il titolo, in tal senso, è assai significativo. Se volessimo cercare di spiegare il tutto attraverso una semplice immagine potrei dire che, quanto ho scritto sulla partitura non solo l’ho ascoltato, ma l’ho anche visto, con colori e forme. Il suono che noi andiamo ad ascoltare è stato percepito in relazione diretta al colore che lo ha generato. Le forze dei colori primari, intuite nell'atto della composizione in una sorta di visione onirica in cui suono e colore appartengono alla medesima matrice ispirativa, vengono ad agire in maniera forte e vigorosa sul tessuto musicale, determinando prepotentemente contrasti timbrici, dinamici ed agogici. L’opera quindi, non consta solamente dell’aspetto musicale ma anche di quello visuale. Quest’ultimo può venire presentato in vari modi che possono agire sia separatamente che congiuntamente all’interno della performance: attraverso un quadro, con il quale voglio sempre esprimere la formalizzazione del concetto che ha generato l’opera, attraverso l’utilizzo di luci proiettate sul fondo, dietro i musicisti, le quali hanno la funzione di amplificare il suono ascoltato in una sorta di contrappunto fono-cromatico, attraverso l’utilizzo della videoproiezione nella quale, oltre all’aspetto cromatico è possibile far interagire anche l’aspetto grafico. La relazione fra suono e colore è fondamentale nella sua attività creativa. Lei parla di fonocromia termine con cui sintetizza il processo unitario con cui l’idea si manifesta. Può approfondire per i nostri lettori questo aspetto? Mi permetta di rispondere dando importanza alla sostanza e non alla forma per mezzo della quale faccio corrispondere il colore al suono e viceversa. Alla base di ogni volontà creatrice (o atto creatore) si trova sempre una necessità interiore, a sua volta mossa dal perseguimento di un ideale. Il mio ideale si identifica nella convinzione che idee, sentimenti e volontà (cioè ciò che si può pensare, sentire e volere) abbiano vita propria ed esistano di per sé, in una dimensione compenetrata alla nostra. Esse sono presenti, nella vita quotidiana, in modo concreto, anche se tangibilmente e fisicamente non abbiamo gli organi fisici necessari per visualizzarle. Ciò nondimeno, e questo è innegabile, ognuno di noi possiede la facoltà di intuirle. Accade così che, quando arriva l’ispirazione (quando cioè si entra in contatto diretto con il mondo delle idee), l’artista, spinto dalla propria necessità interiore di rendere tangibile ed esperibile l’idea accolta, è mosso dalla sua volontà creatrice e convoglia le proprie energie verso la ricerca di una forma espressiva adeguata a comunicare quanto percepito. Nel momento in cui egli coglie un’idea, un sentimento o una volontà, queste gli si presentano nella duplice forma di suono e colore, sinteticamente unite. A questa forma unificata di suono e colore in cui l’idea si manifesta o viene intuita io ho dato il nome di FONOCROMIA. Ecco che un’opera fonocromatica non è altro che il tentativo di riprodurre, attraverso un percorso sinestetico, ciò è stato artisticamente concepito attraverso un unico sentire interiore. Certo si può obiettare che non disponiamo di un particolare organo di senso, come ad esempio l’orocchio, tale che un suono e un colore possano essere percepiti contemporaneamente e, di conseguenza, qualsiasi forma d’arte, poiché sono i sensi che ci consentono di avvicinarci ad essa, può essere espressa per soddisfare solamente o la vista o l’udito. Non è stato ancora neppure inventato l’agognato strumento tetradimensionale richiesto agli scienziati dai fautori del “manifesto bianco”. Ma l’arte non è un dogma, né tanto meno soggiace ai principi vincolanti della scienza, che talvolta di dogma ne è il sinonimo. L’arte non si paralizza di fronte ai limiti imposti dalla materia, ma li trascende e li supera rendendo possibile l’impossibile, rendendo esperibile ciò che ancora non è stato vissuto. L’arte è rivolta alla sensibilità umana, e la sensibilità umana ha la straordinaria capacità di sintetizzare e di interiorizzare quanto l’arte trasmette. L’anima, ossia ciò che nell’uomo afferisce alla parte emozionale, coglie l’idea in modo sintetico. Le idee vengono da lei accolte, nel momento dell’ispirazione, nella sintetica forma di suono, colore e movimento. È l’anima il nostro vero organo sinestetico. In seguito, lo spirito, cioè la parte razionale dell’individuo, ne elabora il contenuto e si prepara ad esprimere ciò che dall’anima è stato accolto. Come l’artista, attraverso la sua anima, percepisce in modo sintetico le idee e le emozioni, e attraverso il suo spirito ne elabora il contenuto e si prodiga per la loro concretizzazione, dividendole necessariamente, nella loro veste fenomenica, in forme distinte (suono e colore), così lo spettatore, mettendo in gioco la propria sensibilità, riconduce il tutto alla sua anima la quale, per mezzo di un processo di sintesi sinestetica, trova nuovamente l’idea originaria da cui l’artista era partito. Le due arti, musica e pittura, possono sussistere separatamente, ed entrambe sono portatrici di valori autonomi, ma, se nate da un’idea comune, possono, una volta unite, non tanto essere considerate come la mera giustapposizione dell’una all’altra, ma generare quel valore aggiunto che ci riconduce in modo concreto alla matrice originaria che le ha generate e, in definitiva, al centro stesso della creazione. Quale è il suo rapporto con il trascendente e quanto questo è presente nella Sua attività creativa di musicista e pittore? Indubbiamente il trascendente ha occupato nel tempo una parte sempre più consistente della mia vita. Mi rendo conto che, nell’era dell’informatica e dell’"integralismo scientista", utilizzare un certo tipo di linguaggio per spiegare le proprie scelte artistiche e ritenere che la fisica possieda lo stesso grado di realtà della metafisica sia l’anticamera del misticismo ed il preludio all’alchimia artistica, attraverso la quale suoni e colori vengono mescolati in strane forme e combinazioni, al fine di incantare lo spettatore. Tuttavia dobbiamo ricordare che stiamo avendo a che fare con l’arte, e l’arte non dimostra, rivela. L’arte supera la scorza dura dell’apparenza per ridare al mondo ciò che l’artista è stato in grado di cogliere al suo interno. Solitamente dico che il mondo nutre l’artista e questi, ogni volta, genera una nuova idea di mondo. Per poter compiere quest’azione è necessario trascendere; non perché la realtà non sia sufficiente a noi e a se stessa, ma perché ciò che si cela in essa deve essere colto attraverso un salto dimensionale che ci porta dal piano fisico a quello metafisico. Del resto tutta l’arte astratta si muove ed è frutto diretto del contatto con questa dimensione che diventa finalmente l’unico "oggetto" della propria analisi. Kandinsky e Kojève docent. Per quanto riguarda le mie opere, il mio intento è quello di creare ponti comunicativi tra dimensioni differenti a seconda dei mezzi espressivi che intendo utilizzare al fine di esprimere un’idea. Il tutto viene a tradursi in relazioni tra suono-colore/luce e audio-video nel momento in cui faccio interagire la musica con una forma d’arte visiva, oppure giocando sul passaggio dalla bidimensionalità alla tridimensionalità quando creo opere pittoriche. Quando invece si tratta di comporre la sola musica, cerco sempre di trascendere dall’ideomaticità dello strumento in virtù del libero attuarsi dell’idea musicale. Più precisamente mi chiedo quale sia il sentimento che possa essere essenzialmente contenuto in uno strumento affinché questo possa essenzialmente esprimere il contenuto dell'anima che lo ha sperimentato. Chiedersi questo significa cominciare ad avere un rapporto sintetico con la musica, lo strumento e il sentimento, non tanto in relazione alla forma quantitativa attraverso la quale la musica viene espressa, bensì al contenuto qualitativo che attraverso lo strumento è possibile esprimere. La chitarra è uno strumento centrale nella sua vita di interprete e compositore. Come si è costruito questo rapporto e quale futuro intravede per lo sviluppo del suo repertorio? Il mio rapporto con la chitarra risale all’infanzia. Avevo quattro anni quando ho chiesto la prima e, sinceramente, non ne ricordo il motivo. Evidentemente faceva già parte del mio dna. Gli studi sono proseguiti normalmente, ma sempre con la convinzione che un musicista completo dovesse essere anche in grado di comporre. Tuttavia, forse per mancanza di stimoli, non credevo di poter veramente essere un compositore. Una svolta decisiva è avvenuta con il manifestarsi della distonia focale, una malattia di carattere neurologico che provoca un’automatizzazione scorretta dei movimenti ed impedisce di poter suonare anche le cose più elementari. Il fatto di non poter avere più un contatto diretto con la musica attraverso il mio strumento mi ha spinto da un lato a trovare qualcuno che mi potesse curare e dall’altro a riprendere in considerazione il fatto di comporre. È così che a ventun’anni ho cominciato a studiare composizione, i primi quattro mesi con il mio insegnante di armonia e, da lì in poi, come autodidatta. Allo stesso tempo è cominciato il mio rapporto con la pittura ed il percorso di ricerca che mi ha portato a relazionare le due arti in modo sinestetico. Nel frattempo ho trovato, a Barcellona, l’Istituto di fisiologia e di medicina dell’arte che ha saputo curare la mia malattia. Ho passato ben 14 mesi di lavoro fisioterapico quotidiano prima di poter suonare nuovamente "come prima". Ora unisco tutto ciò che da quest’esperienza ho imparato. Per quanto riguarda il futuro del repertorio dedicato alla chitarra mi piacerebbe esordire citando una frase di R. Schumann: "In letteratura, chi non conosce le pubblicazioni nuove più importanti, è ritenuto incolto. Anche per la musica dovrebbe essere così". Il compositore fa il suo mestiere e scrive la musica che più gli è congeniale, ognuno con i mezzi espressivi e tecnici che gli appartengono, ma dal conto loro, gli interpreti, dovrebbero interessarsi maggiormente a quanto accade nel periodo storico che stanno vivendo. Non possiamo demandare solamente ai posteri la responsabilità di vagliare e di selezione il materiale artistico prodotto oggi. Il futuro del nostro repertorio sta in un’adeguata coscienza e conoscenza di quanto il panorama compositivo odierno può offrire e questo, tra l’altro, porterebbe sicuramente a sfatare la convinzione che la musica contemporanea è sinonimo di incomprensibilità e di incapacità di comunicazione. Spero che la chitarra riesca a ricavarsi, in questo contesto e in quest’ottica, una posizione degna dei valori che può esprimere, non solo nell’ambito delle stagioni concertistiche destinate esclusivamente a questo strumento, come quasi esclusivamente accade, ma anche all’interno di contesti culturali più ampi in cui possano trovare spazio quei musicisti di sicuro spessore artistico che, con la chitarra, possono portare valori nuovi e duraturi. 21 maggio 2012
Mercoledì 23 maggio 2012
|