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Mozart a Londra. Londra affumicata e trista, ma libera a cura di Danilo Faravelli 9788862181983, BookTime 2018 Shop pp. 212, € 18,00 Descrizione: «[...] Sventurato me che a nativitate m’ebbi un pajo di timpani agli orecchi troppo tesi e troppo dilicati, perché non vi è angolo in questa città, in cui non mi sia orrendamente scossa la tromba d’Eustachio da qualche doloroso frastuono. [...] Eppure gl’Inglesi hanno la smania di cantare, e di sentir cantare, e pagano i maestri cari: anzi in Inghilterra si vuole a dispetto marcio della natura che la musica sia una parte, e talvolta la più coltivata della donnesca educazione. [...] Chi vuol farsi un’idea viva e vera in mente dell’impero di Satanasso, non occorre che legga Dante, no; bisogna ch’ e’ venga a Londra a sentire l’indemoniatissimo romore de’ carri, de’ cavalli e de’ cocchi; e le grida de’ carrettieri, de’ cocchieri e de’ passeggieri dal primo spuntar dell’alba sino alla più chiusa notte; e le continue orribili bestemmie di questo popolaccio bestemmiatore, tanto potenti e tanto risonantissime da far tornare indietro impaurite le saette e i fulmini di Giove. [...]» Giuseppe Baretti, Lettera a un milanese, su Londra apparsa sul n. XIX de «La frusta letteraria» (Roveredo, 1° luglio 1764). Nella biografia di Mozart sono due le Londra di cui è legittimo parlare: quella raggiunta nella primavera del 1764 da uno speciale bambino di otto anni che, in viaggio con papà, mamma e sorella maggiore, s’era lasciato alle spalle il torpore provinciale della piccola e bigotta Salisburgo e quella vagheggiata come possibile meta professionale, a partire dal 1782, da un compositore ventiseienne il quale, in una Vienna di trecentomila abitanti, durava fatica a farsi largo con la propria incomparabilità di virtuoso, operista e maestro di cappella. Sono dunque due diversi Mozart quelli che la sua stessa vita ci autorizza a immaginare in relazione alla città-mito del secolo della liberté e della modernizzazione economica e sociale dell’Europa: prima il bambino che si dischiude al prodigio del proprio talento musicale e poi l’adulto che osa, si ritrae e tentenna di fronte alla lusinga di un’indipendenza professionale. Questo libro nutre l’ambizione di offrirsi come discorso di continuità rievocativa tra lo stupore di un fanciullo eccezionale inghiottito dalla più grande metropoli del suo tempo e le malferme speranze di un adulto inquieto, consapevole della propria grandezza di artista, ma forse non altrettanto sicuro di sé nell’adattarsi all’idea che il successo in campo musicale avesse finito per dipendere da rituali di ascolto collettivo ben diversi da quelli per i quali, da piccolo, era stato consacrato all’Arte dei Suoni. |