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Giancarlo Vincenzo Coccia, com’è nata in lei la voglia di indagare non tanto il jazz in sé, quanto le sue origini? Ascolto jazz da cinquant’anni: mi ha sempre affascinato capire come questa musica sia nata in un territorio, gli Stati Uniti d’America, che ha visto per più di tre secoli un continuo incontro, spesso dettato da contrasti cruenti, di persone provenienti da Paesi lontani e con culture e modus vivendi molto differenti. E come, nel corso del tempo, questi incontri abbiano dato vita a forme musicali che a loro volta, attraverso un processo continuo di contaminazione, hanno prodotto altre nuove sonorità. L’incontro e il confronto tra culture diverse è sempre stato, e continua ancora oggi ad essere, il tratto distintivo del jazz. Come gesto d’amore verso questa musica che ha accompagnato la mia vita, ho provato a raccontare in una forma divulgativa una parte di questo percorso, con l’obiettivo di coinvolgere chi si avvicina per la prima volta a questo tema. Un’opera che, già di per sé, evoca una colonna sonora. E infatti… Proprio considerando tale intento divulgativo, si è ritenuto opportuno, in occasione delle presentazioni del libro, non limitarsi a semplici narrazioni del testo, ma costruire un percorso che potesse anche dare l’opportunità di ascoltare quanto raccontato. È nato quindi un format che vede, in occasione di ogni presentazione, il coinvolgimento di musicisti e cantanti: ciascuno di loro, sulla base del proprio vissuto musicale, ha scelto uno specifico fil rouge sonoro per accompagnare la narrazione del libro. Si va dal canto dei salmi, alle ballate, alla musica classica, alla musica africana, agli spiritual, ai work-song, alla musica delle bande militari e delle band di New Orleans, al ragtime, alla musica da ballo, fino al primo jazz. Un’esperienza stimolante perché, in questo modo, si riesce a caratterizzare con uno specifico valore aggiunto ogni incontro di presentazione del libro. Un progetto “aperto” che si presta a una molteplicità di prospettive. Dal primo ciclo di presentazioni è emerso come, ampliando l’estensione della parte musicale, si possa costruire un modello di concerto-spettacolo che permette agli spettatori di immergersi, in maniera profondamente coinvolgente, nel percorso storico musicale che ha portato alla nascita della prima forma di jazz all’inizio del XX secolo. È possibile far conoscere queste antiche radici storiche e sociali del jazz al pubblico dei teatri, ai giovani studenti, quindi a un uditorio più esteso di quello di ambito jazzistico? Le istituzioni concertistiche italiane, anche le più storiche e classiche, negli ultimi anni hanno dato sempre maggiore spazio al jazz, che indubbiamente ha segnato la musica del Novecento come forse nessun altro linguaggio artistico. Questo libro ha una piccola ambizione: quella di offrire agli enti musicali e culturali in genere, la possibilità di organizzare un incontro che da una parte guardi alla formazione del pubblico, soprattutto giovane, e dall'altra miri a suggerire un momento culturale multidisciplinare. Un incontro dove la Storia umana e politica di tre secoli faccia da sfondo alla metamorfosi di stili musicali che nascono e si evolvono sempre a stretto contatto con la società, con le sue contraddizioni, a volte dolorose, per generare infine un linguaggio musicale potente, di grande impatto socio-politico, visto che ha rappresentato una testimonianza viva di integrazione culturale e stilistica. Anche i grandi autori colti, da Debussy in poi, ne sono stati inevitabilmente affascinati e influenzati. Per questo motivo ritengo stimolante illustrare a giovani e a spettatori di rassegne musicali quella che è forse, ad oggi, la più grande storia di riscatto che abbia per protagonista il suono, la musica. 3 novembre 2025 |