Quali sono le principali innovazioni dell'Orff-Schulwerk e della sua linea pedagogica rispetto all’educazione musicale tradizionale? Nella scuola italiana sono ancora troppo ampiamente praticate quelle didattiche che intendono l'educazione musicale più come una “istruzione”, sia teorica che pratica, che come un’educazione. Scopo primario di tale impostazione è quello di portare il bambino a imparare le note, lette e scritte. Ma imparare le note non significa essere educati alla musica. L'aspetto innovativo dell'Orff-Schulwerk è quello di sostituire l'istruzione con l'esperienza, facendo scoprire al bambino in modo diretto e collettivo come la musica nasce, come si organizza, utilizzando tutti i mezzi possibili di “produzione” musicale (corpo, voce, linguaggio, canto, strumenti) e tutti i mezzi espressivi che con la musica hanno o possono avere a che fare: movimento e danza, innanzitutto, ma anche espressività corporea e mimica, immagine, ecc.. Ovviamente si tratta di esperienze dalle quali si ricavano via via, ma in modo comprensibile e motivato, anche le necessarie competenze teoriche e tecniche. Scopo di tale impostazione non è solo quello di “educare” alla musica: come Carl Orff ebbe chiaramente a sottolineare “... non di sola educazione musicale si tratta… ma di formazione della persona”. Può tracciare, se pur brevemente, il percorso che ha portato alla diffusione in Italia della metodologia Orff? Nella recente pubblicazione della EDT “L'Orff-Schulwerk in Italia” ho ricostruito dettagliatamente questo percorso: a partire da Luigi Mauro, maestro elementare e musicista triestino, in rapporti di amicizia con Orff, che negli anni sessanta trasferì le prime esperienze schulwerkiane in Italia. Percorso che si sviluppò poi attraverso la fondazione della SIMEOS di Verona, la prima associazione italiana direttamente collegata all'Orff-Institut di Salisburgo, i corsi Orff presso la Pro Civitate Christina di Assisi e via via molte altre iniziative. Debbo dire, tuttavia, che l'impulso determinante alla diffusione italiana su vasta scala è scaturito dalla costituzione, dieci anni fa, dell'OSI – Orff-Schulwerk Italiano , al cui Forum sono oggi collegate 35 associazioni e scuole di musica, che si riconoscono nella sua linea pedagogica, sull'intero territorio nazionale. Ci sono state delle difficoltà e resistenze culturali o la metodologia dell’Orff-Schulwerk ha immediatamente convinto quanti l’apprendevano? Le resistenze sono venute e vengono da una certa parte del mondo musicale accademico, più che da chi affronta questo percorso formativo. Le critiche vertono in genere sul fatto che la metodologia Orff si appoggi al gioco (o a dei “giochetti”, come qualcuno dice) invece che a una “seria” impostazione teorica e tecnica. Senza capire che il gioco, praticato orffianamente, non corrisponde (come anche Delalande ben chiarisce ne Le condotte musicali) a un insieme di trucchetti giocosi per far digerire ai bambini la fatica dell'apprendimento musicale. No: il gioco è la sostanza stessa della musica. Chi invece si accosta a questi percorsi da discente esprime reazioni del tutto inverse. Soprattutto chi è uscito da rigidi studi conservatoriali, scopre una via completamente nuova per introdurre il bambino alla musica. Un Orff-Schulwerk praticato in modo corretto, vale a dire rispettoso dei suoi presupposti pedagogici ma creativo e partecipato, non teme rifiuti. Ne è una prova evidente il successo che continuano a ottenere i corsi e seminari orffiani autofinanziati (in particolare quelli che l'OSI svolge in collaborazione con la Scuola Popolare di Musica di Donna Olimpia di Roma e con le associazioni aderenti al Forum OSI ) ai quali si iscrivono insegnanti e operatori musicali che investono il proprio tempo e il proprio denaro, sapendo di trovare ciò che loro serve per impostare e sviluppare un rapporto vivo e fruttuoso fra i bambini e la musica. Nonostante l’impegno che molti hanno profuso in questi ultimi decenni nell’educazione musicale di base nella scuola italiana, in diverse parti del paese essa è ancora considerata quasi un optional nella formazione dei nostri bambini. Condivide questa analisi, quali sono le Sue impressioni e le eventuali soluzioni? Purtroppo lo stato di cose è tuttora quello di una pratica musicale didattica assai discontinua, con punte di eccellenza e situazioni di abbandono e dilettantismo. Non si può dire che non ci sia musica nella scuola italiana, ma la discrezionalità della sua introduzione e della qualità con cui viene praticata è causa di grandi dislivelli formativi. L'unica soluzione (e mi rammarico di non essere riuscito in tutti questi anni a contribuire alla sua adozione istituzionale) è che in ogni ordine di scuola, a partire dalla primaria (oggi, come sappiamo, è solo nella secondaria inferiore), venga introdotta la figura di sistema dell'insegnante di musica specializzato ad hoc per i diversi livelli scolastici. Quanto l’utilizzazione della metodologia Orff può essere utile per la creazione di un nuovo pubblico per i concerti della musica d’arte? Un bambino che sia stato introdotto all'esperienza musicale in modo vivo, inventivo e creativo, che sia stato portato non tanto al mero apprendimento delle note ma a sperimentare in modo diretto come la musica nasce, quali sono i suoi fenomeni costitutivi, come si evolve, in quante forme può esprimersi, non può che diventare un adulto che mantiene viva la curiosità di conoscere altra musica, anche da semplice ascoltatore. Anche in questo senso lo Schulwerk ha una funzione assai fruttuosa. Una Sua opinione sul ruolo e la funzione dei Conservatori di Musica rispetto alle tematiche dell’educazione musicale? Ai Conservatori, soprattutto dopo il recente riassetto, spetta la funzione di provvedere ai percorsi formativi fondamentali per le diverse specializzazioni musicali didattiche. Tuttavia, ad oggi, tali percorsi non trovano sbocco nella scuola (se non per la media inferiore) e quindi la situazione è, in tal senso, discrepante. Ciononostante molte scuole conservatoriali di Didattica della Musica hanno ampliato la propria visuale formativa. Il problema investe in modo rilevante l'attualità dei contenuti, che non sempre rispecchiano tutto ciò che in ambito pedagogico musicale è stato creato, sperimentato e aggiornato. In questo senso, data la particolare situazione sviluppatasi in Italia negli ultimi decenni, apporti significativi potrebbero essere forniti da quelle associazioni e scuole musicali operanti sul territorio che si sono in particolare dedicate a questo tipo di sperimentazione e ricerca: realtà territoriali alle quali, d'altra parte, le scuole pubbliche già si rivolgono per avviare attività musicali integrative in assenza della figura di sistema di cui sopra. Ma va detto che i conservatori non sono in genere troppo inclini a sviluppare rapporti con tali realtà. Di conseguenza l'Istituzione si comporta in modo prevalentemente autoreferenziale, rinunciando a contributi che potrebbero rivelarsi assai fruttuosi per l'aggiornamento della mentalità e della prassi didattica corrente. Mi auguro che in futuro possano aprirsi spiragli sempre maggiori a favore della collaborazione fra Istituzioni e territorio. Visita il profilo di Giovanni Piazza in BDMI |